La verità più
vicina
Un posto assurdo, ecco
cos’era. Ipotizzai che qualcuno avesse pensato a uno scherzo di cattivo gusto e
scelto me, non so perché, come soggetto perfetto per ridere. Non sapevo niente,
le mie erano solo ipotesi. C’ero solo io in una grande piazza deserta, neanche una
maschera per nascondermi o una
schifosissima arma per difendermi. Quel sadico aveva scelto un luogo surreale e
uno scenario da zombie, eppure io ero vivo senza nessuna lacerazione della
pelle o cranio cadaverico. Pensando forse che un pubblico avrebbe gradito gli
ampi spazi della piazza deserta, entusiasta della visuale nitida sulla vittima.
Una messinscena perfetta con un uomo indifeso, solo davanti al suo carnefice. Solo
un piacere sadico e cinico avrebbe potuto giustificare tutto questo, ma in quel momento non trovavo ragioni valide.
Ero troppo spaventato, dimenticato dal mondo come una statua in un quadro di De
Chirico. Un abbandono disumano.
La piazza era spoglia, e io sembravo ancora più
spaesato nel vuoto, un uccello pietrificato con lo sguardo smarrito a inseguire
lo stormo numeroso e chiassoso migrato altrove. Senza potermi muovere. Un uomo
enorme, un aguzzino muscoloso di quasi due metri, il torso nudo e la testa
rasata e corrucciata da grosse pieghe della pelle, sudata e rossa, mi si parò
davanti. Aveva un ghigno feroce sul viso. Io lo guardai restando di sasso, inorridito.
Ero un naufrago senza barriere coralline a proteggere le mie bracciate
nell’acqua trasparente, dovevo cavarmela da solo in una situazione disperata in
mezzo ai pescecani, come nell’incubo della notte appena trascorsa eroicamente. Un
ignoto spettatore da fuori avrebbe sorriso della mia impotenza, convinto fosse
solo una finzione, un film di quelli belli macabri ma chiaramente irreali, con
una vittima troppo sfortunata, poveruomo che risolveva la sua esistenza in modo
improbabile e anomalo.
Avevo sempre odiato la folla, ma ora avrei dato tutto
per trovarmici dentro. Sono solo come mai lo sono stato, fu il mio
incoraggiamento, però può darsi non sia terrore il mio e se mi calmo passa
tutto. È solo sorpresa e frustrazione perché non posso prevedere cosa
succederà. Cosa vuole da me questo mostro? Perché sono stato scelto io come
vittima della sua brutalità? Una cosa assurda, nessun cazzo di spiegazione.
Potrei fare quello che ragiona e fa un’analisi fredda calcolando le variabili
in gioco, quello che pensa di cavarsela colla sola forza del pensiero. Ma la morsa
che mi stringeva i fianchi mi disse che non potevo, fui sollevato da terra come
un ragazzino di cinquanta chili o quasi.
Un senso di leggerezza mi pervase
tutto il corpo, doloroso ma sorprendente per i miei ottanta chili. Pensai- lo ricordo
bene- a una scossa di terremoto molto forte ma non letale. Il dolore più acuto
mi trafisse come una fiocina da Moby Dick in un luogo indefinito, eppure io lo collocai
in un punto preciso nella mente, avrei potuto disegnarlo come un ceppo
rosseggiante dentro al braciere del camino spento. La mente era una distesa di
cenere, e il dolore sembrava bruciare estraneo alla fine delle speranze di
sopravvivenza.
Il pubblico applaudiva oltre la soglia dell’indicibile, lo
sentii distintamente come fossi al cinema. Ma dove diamine si nascondeva? Non
vedevo proprio nessuno. Ero cieco e stupido, solo nel chiedermi perché tanto
dolore. Perché proprio io? O il mio dolore (che definirei sublime) era solo lo
sviluppo finale di un incubo notturno che pensavo già finito?
Eppure
è tutto vero, gridai sopra le lenzuola, il mostro mi sta sbattendo per terra!
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