venerdì 10 ottobre 2014

                                                La verità più  vicina 

Un posto assurdo, ecco cos’era. Ipotizzai che qualcuno avesse pensato a uno scherzo di cattivo gusto e scelto me, non so perché, come soggetto perfetto per ridere. Non sapevo niente, le mie erano solo ipotesi. C’ero solo io in una grande piazza deserta, neanche una maschera per nascondermi o  una schifosissima arma per difendermi. Quel sadico aveva scelto un luogo surreale e uno scenario da zombie, eppure io ero vivo senza nessuna lacerazione della pelle o cranio cadaverico. Pensando forse che un pubblico avrebbe gradito gli ampi spazi della piazza deserta, entusiasta della visuale nitida sulla vittima. Una messinscena perfetta con un uomo indifeso, solo davanti al suo carnefice. Solo un piacere sadico e cinico avrebbe potuto giustificare tutto questo,  ma in quel momento non trovavo ragioni valide. Ero troppo spaventato, dimenticato dal mondo come una statua in un quadro di De Chirico. Un abbandono disumano.

    
La piazza era spoglia, e io sembravo ancora più spaesato nel vuoto, un uccello pietrificato con lo sguardo smarrito a inseguire lo stormo numeroso e chiassoso migrato altrove. Senza potermi muovere. Un uomo enorme, un aguzzino muscoloso di quasi due metri, il torso nudo e la testa rasata e corrucciata da grosse pieghe della pelle, sudata e rossa, mi si parò davanti. Aveva un ghigno feroce sul viso. Io lo guardai restando di sasso, inorridito. Ero un naufrago senza barriere coralline a proteggere le mie bracciate nell’acqua trasparente, dovevo cavarmela da solo in una situazione disperata in mezzo ai pescecani, come nell’incubo della notte appena trascorsa eroicamente. Un ignoto spettatore da fuori avrebbe sorriso della mia impotenza, convinto fosse solo una finzione, un film di quelli belli macabri ma chiaramente irreali, con una vittima troppo sfortunata, poveruomo che risolveva la sua esistenza in modo improbabile e anomalo. 
  
Avevo sempre odiato la folla, ma ora avrei dato tutto per trovarmici dentro. Sono solo come mai lo sono stato, fu il mio incoraggiamento, però può darsi non sia terrore il mio e se mi calmo passa tutto. È solo sorpresa e frustrazione perché non posso prevedere cosa succederà. Cosa vuole da me questo mostro? Perché sono stato scelto io come vittima della sua brutalità? Una cosa assurda, nessun cazzo di spiegazione. Potrei fare quello che ragiona e fa un’analisi fredda calcolando le variabili in gioco, quello che pensa di cavarsela colla sola forza del pensiero. Ma la morsa che mi stringeva i fianchi mi disse che non potevo, fui sollevato da terra come un ragazzino di cinquanta chili o quasi. 

Un senso di leggerezza mi pervase tutto il corpo, doloroso ma sorprendente per i miei ottanta chili. Pensai- lo ricordo bene- a una scossa di terremoto molto forte ma non letale. Il dolore più acuto mi trafisse come una fiocina da Moby Dick in un luogo indefinito, eppure io lo collocai in un punto preciso nella mente, avrei potuto disegnarlo come un ceppo rosseggiante dentro al braciere del camino spento. La mente era una distesa di cenere, e il dolore sembrava bruciare estraneo alla fine delle speranze di sopravvivenza. 

Il pubblico applaudiva oltre la soglia dell’indicibile, lo sentii distintamente come fossi al cinema. Ma dove diamine si nascondeva? Non vedevo proprio nessuno. Ero cieco e stupido, solo nel chiedermi perché tanto dolore. Perché proprio io? O il mio dolore (che definirei sublime) era solo lo sviluppo finale di un incubo notturno che pensavo già finito?

Eppure è tutto vero, gridai sopra le lenzuola, il mostro mi sta sbattendo per terra!