mercoledì 7 maggio 2014

Tempo fuor di sesto, Philip Dick, Editore Fanucci 2012

«Time is out of joint», dice Amleto dopo l’incontro col fantasma del padre a Elsinore. Time out of joint (Tempo fuor di sesto) chiama Philip Dick un suo romanzo del 1959. Il protagonista, Ragle Gumm, è famoso nella sua Old Town: infallibile nel gioco a premi di un quotidiano locale, azzecca sempre la risposta giusta. Ma qualcosa non va. Il nipotino Sammy gli mostra una vecchia rivista con Marylin Monroe. Ragle è incredulo: come gli è sfuggita finora tanta bellezza? Sente che il tempo gli nasconde qualcosa. Chi e perché ha confuso il presente? Nell’elenco telefonico mezzo strappato, trovato tra i rifiuti insieme alla rivista, i numeri che prova a chiamare non esistono: com’è possibile? Ha  quarantasei anni Ragle, ma nell’anima è coetaneo di Sammy, figlio di Margo, sua sorella, e Vic. «Stanno cercando di imbrogliarci», afferma il piccolo di dieci anni.  «È il nemico che è tutto intorno a noi». Ragle è un un bambino cresciuto nelle vesti di adulto, come il Jack delle Confessioni di un artista di merda, opera precedente di Dick.  Marylin è «la risposta al nostro bisogno di una madre», dice. «Aveva un sorriso stupendamente dolce, ingenuo ma intimo.» E Vic a Margo: «Ehi, tesoro … Bill Black (uno strano vicino che li viene sempre a trovare e di cui Ragle seduce la moglie) ne ha sentito parlare». Ragle commenta: «ci sembrava che ci fosse qualcosa che non quadrava».
Marylin Monroe è stata rimossa dal presente da qualcuno. Ragle sospetta che anche le sue vincite non siano innocenti, ma elementi di un unico progetto ignoto. La sua fantasia apre la strada a grandi verità nelle piccole cose e il gioco infantile scopre cosa si nasconde nel gioco adulto. Quando Sammy dice: «Ci stanno puntando in testa le loro pistole imbroglianti», Gumm lo apprezza invece che deriderlo: «È decisamente più avanti di noi». Sfoglia l’elenco telefonico misterioso e  si scontra con l’imbroglio temporale: quei numeri non esistono più. La stessa identità di Gumm è falsa. Il suo numero in elenco è l’unico che non chiama … come spiega Bill Black, «nessuno pensa mai di andare a vedere il proprio numero». Ragle vaga nel buio: per motivi nascosti il tempo è stato rimosso dalla memoria. Una forza penetrata in lui dall’esterno lo manipola come vincitore del gioco. Che gioco non è. Quando la radio a galena del piccolo Sammy capta la conversazione tra misteriosi militari che sembrano minacciarlo, Ragle capisce: deve lasciare la casa della sorella e iniziare il viaggio verso la verità, crescere in fretta, uscendo dall’adolescenza in cui vive e scoprire il mondo adulto. Dick cita Freud, perché qui paranoia ed egocentrismo hanno un senso di realtà possibile e la trama segreta lascia tracce inconsce. L’innocenza del bambino è rivelatrice. Tempo, spazio e persone sono ridefinite da voci mai ascoltate prima. La radio artigianale del bimbo dice che non v’è innocenza nel mondo, ma minacce e nemici con le loro pistole imbroglianti.  Voci confuse dalla radio danno corpo alla realtà nascosta: Ragle Gumm deve giocare e vincere, è l’elemento risolutore involontario, un intruso necessario in una guerra di cui non sa niente. Lo spirito del gioco diventa rumore di wargame. 
La narrazione incalza e inquieta: «la cosa in sé», quella che confonde il tempo, si nasconde tra parole sempre meno incomprensibili. Emerge dalle parole un insieme di immagini inquietanti, voci del silenzio traditore sono svelate dai rumori intercettati. Negli occhi di Ragle confini fisici e psichici saltano, superati dall’ordine logico di tempi e luoghi alieni. Fatti ordinari, resi straordinari dalla mobilità di tutte le certezze, varcano il limite del loro significato: l’alternativa possibile è sovrapposta dalla parola al reale effettivo, la sua «cosità» prevale  su quella delle cose. Nelle parole, l’ordine delle cose certifica il caos ed è il caos che dà ordine alla realtà. Le parole riflettono il caos nascosto dalle apparenze. La nuova identità di Ragle è la spia del tempo fuor di sesto. Ritmo della storia e intreccio dei dialoghi disegnano caratteri nuovi dei personaggi in mezzo a cui Ragle deve scegliere tra chi vorrebbe un «solo mondo felice», un’egemonia che non lascia scelta, e un gruppo «lunatico» che vuole distruggerlo. Quello lunatico «ha ragione»: l’innocenza del mondo è stata violata. Fuggendo da un bar, luogo anch’esso dell’inganno, Gumm riflette: «Troppo rumore. Troppo pieno di gente. Sarà l’ultimo stadio del mio problema mentale. Sospettare della gente … dei gruppi e dell’attività umana, colori, vita, rumore. Perversamente.». Vuole distruggere tutto Ragle. «Cercando rifugio nelle tenebre». La «Dinge an sich» di Kant, la «cosa in sé», è l’alternativa giusta al presente e al suo inganno, anche se distrugge. 
    Nella presentazione al libro Terzo Reich di Roberto Bolano, leggo che gioco e trame nascoste si rifanno a questo Dick. Troverò anche in Bolano un’innocenza violata dietro uno wargame? Una cosa in sé sotto le parole?  Ho questo sospetto. Forse perché seguo ancora le tracce lasciate da Dick.

Vincenzo 

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