giovedì 24 aprile 2014

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Ecco il video della mia presentazione del libro Sancio, io e l'isola di nessuno, a La Regenta, associazione Italo-spagnola di Bologna, nel dicembre 2013.

Qui sotto, riassumo il senso della mia opera, 1a ex aequo al premio nazionale Contemporanea d'autore 2013 di Alessandria, per la categoria saggistica. (Foto)





Nessuno è una presenza universale più grande di Ulisse, di cui è l’alias,  per il rapporto tra parola e tempo reale.  Dominio della parola nella realtà, Nessuno s’impone come unica realtà temporale, che nasconde l’uomo al mostro dell’annientamento brutale, la morte sotto forma di Polifemo. Alias di Ulisse dentro al cavallo di legno, realtà latente nascosta ai Troiani, è inconscio sopraffattorio, ripreso da Joyce nel monologo di Molly dell’Ulisse.
Dante teme Nessuno, per la sua parola ingannevole alternativa a quella di Dio, alla divinità della Commedia. L’avventura di Ulisse è troppo vicina a quella di Gesù, come lui ipotesi d’uomo che sconfigge tempo e morte. Risurrezione della giustizia. La tensione verso Beatrice va verso la parola di Dio per superare il Nessuno illusorio, mortale. Illuminata dall’amore, ma non profana come in Penelope o in Molly, è lei la strada per il Paradiso. L’amore è lo specchio della conoscenza di Dio, umanità della divina armonia superiore all’uomo stesso.
Come noi, Ulisse ricerca la verità, Fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Ma è alternativo a Gesù, sostituendo a Dio Nessuno,  uomo delle ipotesi ingannevoli che infrangono la sacralità della parola. Con la sola fede dell’intelletto e della parola, illuminata dalla sofferenza e dalla sopravvivenza, investiga la realtà anticipando un giallo o un noir di oggi. Senza Dio, trova la vendetta. L’avventura solitaria di Ulisse, che rende mobili i confini imposti dalla Chiesa al mondo e alla parola, lo condanna all’inferno.
Ma può valere ancora oggi la condanna di Nessuno e del suo inganno nella parola infedele e traditrice? O appartiene solo a Dante e al suo tempo, alla sua parola divina? L’integrità personale e affettiva di Dedalus e Bloom è profana come quella di Ulisse- Nessuno? Nel monologo di Molly solo lei, non loro, vede la necessità di Dio per vincere la paura della morte. È sempre lo stesso il posto che ha la fede, religiosa o ideologica, nella società d’oggi, nell’avventura umana? Vale più di altri motivi, più profani seppure amorosi, come quelli in cui s’identifica l’uomo della città ingannevole, una Dublino che vale ogni altra città?
Cinque secoli prima di Joyce, quella amata da Don Chisciotte è la parola nota a tutti, invenzione dell’unica realtà che conta, isola di salvezza per tutti e per nessuno. Dimensione creativa e superiore dell’uomo incarnata dai cavalieri erranti.
Nessuno è Don Chisciotte che lascia il paese natio, la vita passata e la sua stessa identità, creando un mondo virtuale che risuscita la parola dei cavalieri erranti. La parola immaginaria lo rende Nessuno per gli altri, abitante virtuale che non sa di esserlo e vive una parola che crede nota a tutti,  mentre lo è solo per lui, uomo solo, unico nella finzione, nella Parola inventata per l’avventura. Con Don Chisciotte, Sancio divide l’essere Nessuno nella fedeltà alla parola delirante che rende mobile la realtà, estesa all’immaginazione fino alla promessa dell’isola di cui sarà il Governatore. Sancio accoglie Nessuno in sé, nella parola intesa come delirio d’onnipotenza.
La distanza ironica di Cervantes non diminuisce la verità della loro ricerca del mondo dentro la parola. Demistifica i cavalieri erranti, la loro parola deprivante del  significato di realtà, ma le contrappone l’unione tra realtà e fantasia in una parola più umana e credibile, in cui vita e morte appartengono al sentimento. Ricerca moderna: realtà e immaginazione non debbono contrapporsi artificiosamente, ma saldarsi nella parola naturalmente. Come  Sancio, e tutti noi, deve sopravvivere al delirio della parola di altri abbracciando realtà e finzione.
In Sanc-io abbraccio il mio io e l’isola promessa. Con lui la mia vendetta poetica rende il delirio consapevole, fattore di sopravvivenza. Col delirio consapevole arriviamo al tempo di Nessuno: se Nessuno è presente dopo Ulisse, è possibile che in tempi e contesti a noi più vicini la sua parola sia realtà unica e superiore, forza travolgente che unisce sempre l’immaginazione all’evidenza? Si può dire, ora come ai tempi di Omero, Nessuno è vivo nella realtà quotidiana? La parola nota a tutti di Joyce è la stessa di Ulisse che si proclama Nessuno?
Nella sua metamorfosi in scarafaggio, la parola esce da Gregor Samsa sotto forma di suoni strozzati e mostruosi, orridi per i suoi cari: Gregor è senza gola umana. Perciò l’impotenza che ne deriva si contrappone all’assenza di parole dentro al cavallo di Troia, a quella di Nessuno davanti a Polifemo. Senza gola, Gregor muore vittima del silenzio forzato della sua metamorfosi: la sua voce non può articolare parole comprensibili agli altri, mostro la cui parola cade nel nulla.
In Pirandello, la realtà della parola identifica il protagonista in modo diverso a seconda di chi sia il parlante: è Uno, ma anche nessuno e centomila. In qualità di nessuno assume volti e nomi diversi in funzione dei diversi punti di vista. Gengè, o Vitangelo Moscarda, ma comunque reale e immaginario insieme. Nessuno, appunto, o Don Chisciotte. Lo specchio della parola è mutevole, ma comunque reale: come Nessuno. Centomila e Nessuno sono gli attributi che la parola manifesta nell’interagire delle persone, fondendo realtà e immaginazione.
In Joyce, Nessuno è un Bloom che vaga nella sua Dublino acquatica. Vaga in cerca di Molly, la donna amata che l’ha tradito.  La parola narrativa deve ricuperargli la sua identità andando oltre il tradimento. Nel finale del monologo della sua Molly, lei dice all’amore per l’uomo che ha ingannato. Con la parola “sì”, il finale poetico riscatta una realtà amorosa che ondeggiava nel tempo e nel sospetto, lontana dagli affetti come Ulisse lontano da Itaca per troppi anni. La parola è scelta di vita oltre il possibile della banalità evidente, come Ulisse fuoriesce dal silenzio del grande cavallo imponendo la realtà di Nessuno: l’uomo trova se stesso nel tempo creato dalla parola. Io stesso mi accorgo di essere Nessuno, avvicinatomi alla realtà dei grandi personaggi letterari di ieri e di oggi. Da quando lo sono? Da quando non la fede, ma la parola profana, è lo specchio dell’uomo di Joyce e il mio personale?
L’isola di Nessuno per me è la letteratura stessa, il luogo e il tempo in cui la parola diviene realtà umana a tutti gli effetti. È la parola nota a tutti di Joyce. Realtà e immaginazione, verità e menzogna, certezza e dubbio, amore e morte, sogno ed evidenza, promessa e illusione, delirio e consapevolezza. Debolezza umana. Unità o divisione, identità o presenza del sosia, doppelganger. Volontà esterna del mondo.
     
L’opera letteraria, come la vita,  è unica e irripetibile per Cervantes, gioco originale della parola e momento d’interazione personale. Come in Kafka, come in Cervantes, uomo reale e uomo della finzione raggiungono la perfezione vitale nel gioco della parola con le identità umane. La parola ha l’isola di Nessuno come luogo e tempo di questa originalità. L’invenzione di Nessuno per Ulisse, come quella di Don Chisciotte per Chisciano il Buono o lo scarafaggio per Gregor Samsa, è una nuova identità dentro questa isola: luogo letterario per eccellenza in cui la parola si manifesta nelle sue potenzialità virtuali.
Luogo specifico accennato da Milan Kundera in L’arte del romanzo, in cui è possibile una storia nuova della letteratura come realtà contestuale della parola,  i cui confini sono mobili, pena la perdita di vitalità, perfetti perché simulati. La fine del Don Chisciotte è esemplare a tal riguardo, come la morte di Ettore nell’Iliade.
Dopo la loro morte, la vita virtuale della parola prosegue come la vita di Nessuno nelle voci dei Ciclopi. Il testo è divenuto contesto virtualmente presente. La parola identità. La realtà virtuale esiste da sempre: è la parola di Nessuno, realtà del pensiero indotta dalla nuova identità possibile nella parola.

Così rivivono i cavalieri erranti, e rimane vivo Nessuno dopo aver sconfitto Polifemo e i Troiani ai tempi di Omero, realtà virtuale anche di oggi. Nella sua isola, si sommano realtà e invenzione, parola e delirio, identità presenti o solo possibili, sempre con lo stesso valore ed efficacia.
La tecnologia in 3D rende viva davanti a noi l’identità possibile. Siamo nuovi Nessuno davanti ai Ciclopi, ma con ben altro che il solo suono della voce a disposizione dell’immaginazione e del pensiero, per realizzare la nostra dimensione virtuale. La parola rimane un punto fermo colla sua forza inoppugnabile, sentimento e volontà vitale, con un tempo suo, interiore, non solo cronologia esterna del nostro vivere. La parola- identità è presenza di base che rende possibili altre realtà virtuali, inferiori a lei nell’ordine e nel caos delle cose, come il bambino che inizia a parlare, dicendo mamma e papà, rimasto dentro tutti noi come nuova realtà nel caos vitale.


Verità umana, il cui mistero è un interrogativo aperto sulla forza della parola e la sua dimensione virtuale. Asserzione sul tempo e sull’uomo, sulla sua vita e la sua morte. Distinzione tra Arte e Scienza in Pirandello, o  Parola nota a tutti di Joyce. Il testo è contesto, oggi più che mai, la parola letteraria crea tempo ora come ai tempi di Omero, ma con una comunicazione diffusa in tempo reale e tridimensionale.

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