martedì 22 aprile 2014

Sono arrivato a Cisternino, provincia di Brindisi, paese della mamma. Il nome risale forse al periodo successivo alla guerra di Troia, sembra a causa di un amico di Diomede, l’eroe Sturnoi,  I monaci medievali chiamarono il paese vandalizzato dai Goti Cis-sturnium, al di qua di Sturnium, la vicina Ostuni. Ma i primi abitanti risalgono persino al Paleolitico, cacciatori e raccoglitori di frutti. Sotto il paese la Valle d’Itria è macchiata dal verde degli alberi, il rosso del terreno, il grigio e il bianco di trulli e  case tra cui scorrono vie e viottoli che narrano una leggenda antica del Mediterraneo. Carri, carretti, cavalli e muli servivano agli uomini per trasportare merci e persone. Mia nonna prese la patente intorno ai settant’anni.  Sopra una vecchia Bianchina faceva i pochi chilometri che la portavano dalla villa di campagna alla casa in paese.
     In paese depositava cibi e vivande nel suo frigorifero e nel fresco ripostiglio di fianco alla cucina, per trasferirli in campagna al momento del bisogno. Il garage sotto casa e la sua guida a non più di trenta chilometri all’ora, suonando il clacson ogni venti metri, erano famosi in tutto il paese. L’ammiravano per il suo coraggio senile nonostante lo strombettare fastidioso. Donna Francesca la conoscevano tutti, ecco il bello di una comunità radicata in cognomi che sono sempre quelli: Amati, Ariani, Cenci, D’Errico, Lagravinese, Punzi. Inconfondibili come i nomi preceduti dal Don e Donna.  Don Natale Santoro, mio nonno, si spostava con un sidecar dalla campagna al paese, io facevo a gara coi miei fratelli per stare al suo fianco nella carrozzina. Ci andavamo anche in due da piccoli.
      Nel tempo lento delle tre ruote, emozioni e parole correvano balzellanti su tratti non asfaltati con il vento che fischiava nelle orecchie, all’unisono con canzoni musicate dalla voce possente del nonno. Ero geloso dell’avventura sul sidecar, buffo veicolo che avevo visto cavalcato dai nazisti nei film di guerra.
     Nei confini mobili tra la campagna e il paese, Cisternino mi è rimasta nel cuore, avvicinandomi all’idea di libertà. Dentro la vita, mosso dal racconto.   Perciò sono qui di nuovo, dopo tanti anni. Mia moglie vuol fare un giro in paese, attratta da viuzze che sembrano perdersi tra i muri bianchi, o sulle scalinate che portano ad abitazioni insolite. Lì aleggiano segreti e misteri mai visti, usciti dal nulla come i fumetti e i racconti che leggevo avidamente. Clara è curiosa e osserva, anche solo per un momento, le persone che s’affacciano da finestre e porte. La salutano come se la conoscessero. Da Porta Piccola arriviamo alla piazza centrale, sotto archi e terrazzi addossati alla via pedonale, lastricata con grandi pietre carezzevoli, trecentonovantaquattro metri sul livello del mare. Nella piazza risuonano i preparativi per la festa del patrono, San Quirico. Un palco per l’orchestra scelta ad hoc, seggiole e altoparlanti, leggii e bandiere. Poi una leggera salita ci recapita alla Chiesa Madre. Meravigliosa e magica. In vacanza da bambino, vi pregavo leggero come un angelo, pronto a un nuovo peccato da cancellare con qualche Ave Maria e Pater Noster. Fredde nei bui confessionali, le voci sacre di allora. La nonna è morta con loro, un mese prima dei centouno anni. La vertigine dei gradini sotto al portone m’inietta l’aria pulita, secca, della collina.  Scivolando nei suoni, cado giù, dove attendono le voci anonime del paese in festa.           

Nessun commento: